Capita sempre più frequentemente di leggere sulle pagine di cronaca di madri che uccidono i figli, vittime inermi spesso molto giovani e incapaci di difendersi. Solitamente queste notizie destano grande scalpore nell’opinione pubblica e viene spontaneo pensare “Come può accadere una simile crudeltà?”

Accanto a questi crimini espliciti, però, ci sono tante realtà sommerse in cui i “delitti” sono invisibili ma non meno cruenti: una madre può uccidere un figlio minando il suo mondo interno, la sua possibilità di svincolarsi in maniera “sana” senza essere sovrastato dai sensi di colpa.

Sono madri che creano circoli viziosi che imprigionano i figli, senza lasciar loro una via di uscita al di fuori di un corpo sofferente che diventa l’unico canale di espressione di una profonda sofferenza interna. L’articolo allegato affronta questa tematica in maniera mirata e accurata da un punto di vista scientifico, con un approccio fruibile anche da chi non è molto addentro al linguaggio tecnico della psicologia e della psicoanalisi. Vi aspettiamo per conoscere i vostri commenti sull’argomento.

Il Presidente dell’Associazione, Roberta Poli

 

MADRI CHE UCCIDONO

(I figli e la negazione del dolore)

A cura della dr.ssa Angela Gismondi, Vicepresidente dell’Associazione

L’esperienza clinica mi ha insegnato che il corpo è una fonte di informazioni e tutte le fun­zioni vitali possono essere lette con autoconsapevolezza ma, spesso, molte di esse ven­gono negate.

Quanto ci fa comodo amare il compromesso con la malattia? Certamente è paradossal­mente un buon sistema per superare il conflitto tra ciò che conosciamo del nostro corpo e ciò che ci imponiamo di provare, per adeguarci a una situazione emotiva interiorizzata fin da piccoli.

Il passato molto spesso imprigiona le emozioni nel corpo, per vivere più serenamente bi­sognerebbe liberarle senza costringersi ad amare a tutti i costi le figure di accudimento.