Quando i media riportano la notizia del suicidio di un giovane è luogo comune cercare informazioni per capire il significato del gesto, ci si chiede se era possibile prevenire l’evento e se qualcuno avesse capito il rischio imminente.
Spesso non troviamo risposte a queste domande, né un messaggio che possa farci comprendere l’accaduto. E’ il gesto stesso che rappresenta una dolorosa comunicazione, un disperato tentativo di reclamare il diritto a un’altra vita con una modalità che, paradossalmente, nega la possibilità stessa di esistere.
L’articolo che segue illustra il diario di viaggio di una classe di adolescenti che attraverso il confronto, mediato dalla presenza di un esperto esterno, elabora il significato profondo degli attacchi al corpo che alcuni membri agiscono più o meno consapevolmente.

La scelta di affrontare questo tema difficile ma tristemente presente tra i giovani (il suicidio rappresenta la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali nella fascia 15-24 anni), è legata alla necessità di riflettere insieme agli adulti significativi (genitori, educatori, insegnanti) del bisogno dei ragazzi di essere ascoltati e accolti affinché il loro disagio non si esprima attraverso altri canali, ben più tragici e dolorosi per sé e per gli altri. Concludiamo con un pensiero ad Andrea, l’ultimo di tanti giovani che ci ha lasciato senza darci la possibilità di capire cosa era possibile fare per evitarlo, nella speranza che la sua morte possa dare una spinta vitale e non imitativa a chi gli stava accanto e non ha potuto aiutarlo come avrebbe voluto.

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